La ricerca semiotica che Vladimir Propp ha condotto nel suo saggio Morfologia della fiaba (1929), ha evidenziato come nella letteratura popolare europea del ventesimo secolo fosse ancora viva la stessa concezione dell’universo tripartito ed intercomunicante che sta alla base della Cosmologia arcaica. Nella fiaba di Brunella, ad esempio, la rottura dei livelli cosmici pone in comunicazione diretta la comunità dei vivi con quella dei defunti, a cui veniva riconosciuta la funzione di “aiutanti dall’altro mondo”. La mano della madre defunta che si protende fuori dalla tomba, l’albero piantato sulla tomba, l’uccello che se ne sta appollaiato sull’albero, “simbolo fin troppo noto dell’anima del defunto”, esprimono la credenza, ancora viva nella tradizione popolare, che i defunti potessero oltrepassare la soglia che li separa dal mondo dei vivi ed entrare in comunicazione con i propri cari, in modo da compiere prodigi e punire o premiare gli uomini. Dal momento in cui queste funzioni ricorrenti nella fiaba vengono trasferite dentro un procedimento di “Archeologia del Sapere” (vedi post nr. 6), diventano tout court premesse per una più adeguata comprensione delle immagini dell’arte preistorica e primitiva. Sto parlando in particolar modo della classe di rappresentazione degli antropomorfi e dei guerrieri. I primi, in virtù della ristretta gamma dei loro gesti significativi, ricoprono il fondamentale ruolo di mediatori cosmici; i secondi mettono la funzione guerriera al diretto servizio del sistema liturgico.

Naquane, Capodiponte, Roccia 35. Busto di antropomorfo nella posa dell’Uomo Cosmico. Sarebbe errato pensare che questa rappresentazione sia incompleta. In realtà, come Claude Berard ha ben evidenziato, l’immagine coglie l’attimo esatto in cui l’entità ha superato, ma solo con la parte superiore del corpo, il sottile velo che separa la dimensione terrena da quella ctonia.
Così avviene che guerrieri armati di scudo e lancia, ritratti frontalmente in posa di guardia, stiano sorvegliando gli assi cosmici e i passaggi ctonii (raffigurati da simboli come il labirinto, il cerchio, ecc.) dai possibili sconfinamenti (anodoi) tra il mondo infero e quello umano; quelli in atteggiamento frontale di tripudio (con le armi rivolte in alto), sono spiriti di eroi defunti il cui corpo è rappresentato per intero dopo la sua emersione dagli inferi. La frontalità del guerriero risente di una concezione che è correlata alla rappresentazione della morte, la stessa che il mito greco esprime con Medusa, mostruoso essere femminile che pietrifica coloro che la fissano negli occhi. In questo senso la posizione frontale del guerriero è tale rispetto alla presenza di una potenza divina ed intende rendere visibile “l’alterità radicale della morte”. Un secondo gruppo di rappresentazioni mostra coppie di guerrieri, ritratte di profilo, dunque dentro una logica puramente descrittiva, che si affrontano in duello nel corso dei giochi in onore dell’eroe defunto, il quale assiste di persona (ritratto frontalmente) all’evento, o attraverso un simbolo (una figura ornitomorfa, una situla contenente le sue ceneri, uno scranno, ecc.). L’antropomorfo con le braccia rivolte verso il basso, l’Uomo Ctonio, ha la funzione di mediare il necessario appoggio delle entità che hanno sede nella terra, nel cui grembo germogliano i semi e vengono deposti i morti.

Cratere attico a volute (Valle Trebbia, VI sec. a.C. Un sileno (spirito dei boschi e della natura selvaggia) causa la risalita sulla terra (anodos) di Persefone, regina degli inferi e dea della fertilità, che ritorna sulla terra a primavera , dopo aver trascorso l’autunno e l’inverno agli inferi, per restituire la vita al mondo.
Il folklore e la mitologia sono ricchi di storie che descrivono la preoccupazione dell’uomo per il verificarsi, proprio nei momenti più delicati dell’anno, come la semina e il raccolto, di questi trapassi (ànodoi) dal mondo infero a quello umano di spiriti buoni o mostri infernali, che solo un’adeguata liturgia di gesti, danze, canti e preghiere magiche, poteva favorire o scongiurare. Preghiere con le mani basse e le palme delle mani rivolte verso la terra o verso le porte che si aprono sull’Aldilà sono comuni nel repertorio della ceramica greca. Il ritmico battere con i piedi il suolo o la sua percussione con martelli, atto in cui sono spesso ritratti i sileni, era un richiamo per far risalire alla superficie determinate entità ctonie.
Nelle incisioni rupestri della Camonica l’Uomo Ctonio è spesso rappresentato. Sulla roccia 12 di Seradina assistiamo ad un rituale in cui un gruppo di antropomorfi sembra ripetere il gesto compiuto da un’entità di dimensioni molto maggiori, itifallica, dotata di grandi mani e grandi piedi, elementi che denotano la sua natura divina.
La conferma di questa ipotesi giunge da una scena di aratura di Seradina (Capodiponte), in cui l’aratro trainato da cavalli e seguito da un gruppo di zappatori, è integrata da due azioni simboliche: quella del guerriero che esercita la sua funzione di difensore della terra da possibili incursioni di spiriti (molto vicina alla danza romana dei sacerdoti Salii) e quella dell’antropomorfo nella posa dell’Uomo Ctonio che con il suo gesto invita gli spiriti della terra a essere favorevoli al futuro raccolto.
Bellissimo articolo, denso e chiarificatore.
Le “funzioni” di Propp riguardano la sintassi del racconto, ne evidenziano la tipologia ricorrente, ne descrivono le tappe, la sequanzialità interlacciata. In questo senso non sarebbe strettamente corretto considerarle secondo il significato che ha solitamente la parola “funzione”. Nella tua esposizione «Dal momento in cui queste funzioni ricorrenti nella fiaba vengono trasferite dentro un procedimento di “Archeologia del Sapere”» sembra che le funzioni proppiane siano tese a un fine, funzionino per il raggiungimento di qualcosa. In realtà sono semplicemente dei tasselli strutturali, degli ingranaggi. Semmai è la fiaba nel suo insieme, nel suo arco narrativo che tende a qualcosa, che diventa racconto esemplare, che cessa di essere racconto per diventare “faticamente” qualcosa d’altro. Per questo motivo penso che il significato di una fiaba nel suo complesso possa aiutare a comprendere le raffigurazioni preistoriche, ma non attraverso le singole “funzioni”, perché sarebbero strutturalmente e semanticamente inapplicabili, perché non comparabili. Posso sommare 6 pere e 5 cavoli e avrò 11… cosa? Qualcosa di semanticamente sovraordinato (“cose da mangiare”, “doni ricevuti”, “vegetali”…). È questo livello sovraordinato che è chiarificatore, pur nella sua genericità, perché riesce a concettualizzare in uno dati diversi e di per sé incomparabili. Si perde il livello analitico, ma si guadagna a livello eidetico.