29. Homo omnium rerum mensura.

da | Apr 10, 2018 | Senza categoria | 0 commenti

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Immagine dipinta sulla pelle di quattro tamburi  sciamanici provenienti dalla regione tatara e mongola (riportato da G. Mallery che utilizza come fonte N. Potanin). Come avviene per le stele verticali incise del repertorio dell’arte rupestre europea, la superficie del tamburo è intesa dallo sciamano come uno spazio cosmico. La figura antropomorfa, che attraversa il tamburo in senso verticale (col corpo) e orizzontale (con le braccia) è il Macrantropo, personificazione dell’universo, l’Uomo Cosmico che corrisponde al Purusha del mito indù e a Ymir  del mito norreno-scandinavo. La presenza dell’antropomorfo è giustificata dal fatto che l’uomo arcaico, non essendo in grado di stabilire  quali siano le cause degli eventi naturali, è convinto che ogni manifestazione del cosmo sia conseguenza di un atto compiuto da un’invisibile entità super umana. In tal modo, poichè al cosmo è attribuito lo stesso comportamento del corpo umano,  appare evidente che la dimensione corporea abbia per l’uomo arcaico una funzione cognitiva fondamentale al fine della comprensione degli eventi naturali.  Al tamburo sciamanico è attribuibile un’altra formidabile caratteristica:  il suono prodotto dalla sua percussione fa vibrare la pelle rendendo magicamente attive le figure riprodotte su di essa. Attraverso il suono del tamburo, l’immagine  trasmette un’energia magica che trasforma la realtà secondo le aspettative dello sciamano. Per questo non esiste tamburo sciamanico senza decorazione.

Dal punto di vista della danzadelleorigini, la madre di tutti i quesiti è: l’uomo contemporaneo e l’uomo preistorico hanno la stessa nozione di corpo? La domanda  è cruciale poichè, in base alla risposta, si delinea uno specifico contesto cognitivo che precede e configura le modalità di comprensione di ogni atto significativo, nostro e dell’uomo preistorico. Ricordo che per il dualismo cartesiano su cui si fonda la cultura occidentale, l’anima, sottratta ad ogni condizionamento corporeo, si risolve nel puro intelletto, a cui è affidata ogni possibile nozione del mondo (res cogitans), mentre il corpo è degradato a mera estensione e movimento: una macchina (res extensa). Questo paradigma, retaggio del pensiero platonico prima e cristiano poi, è stato condiviso per secoli da ogni uomo nato in Occidente. In altra direzione è volto il “principio di incorporazione” di Thomas J. Csordas, secondo il quale “il corpo è un fenomeno culturale e storico oltre che biologico e naturale”. Per Csordas il dualismo non è ontologicamente fondato, anzi, si tratta di una specifica costruzione storico-culturale che non può essere pensata in termini naturali o universali. Tra gli elementi a sostegno del suo “principio” Csordas riporta una interessante conversazione che l’etnologo e missionario cristiano Maurice Leenhardt ebbe, intorno agli anni ’30 del secolo scorso, con un saggio anziano del popolo dei Kanaki della Nuova Caledonia. All’affermazione di Leenhardt che erano stati gli europei a introdurre nel pensiero indigeno la nozione di “spirito”, il suo interlocutore aveva risposto l’esatto contrario: i Kanaki avevano sempre agito secondo lo spirito; se qualcosa gli occidentali avevano introdotto nella loro cultura, quello era il corpo. Infatti, prima del contatto con i colonizzatori europei i Kanaki non disponevano di un’idea di corpo. Esso non era individuabile né come soggetto di esperienza né come oggetto di discorso; era soltanto un supporto; anzi, nella loro lingua non esisteva nemmeno un termine per indicare il corpo. Importante premessa per il superamento del paradigma dualistico è stata l’attività di ricerca condotta a cavallo tra ‘800 e ‘900 da antropologi del calibro di Frank H. Cushing, Marcel Mauss, Marcel Jousse, Robert Hertz, Mary Douglas. Grazie a loro possiamo affermare che più retrocediamo indietro nel tempo verso culture arcaiche, più la distinzione tra corpo e anima si annulla. Le stesse immagini dipinte su molti tamburi sciamanici – come i miti di creazione, quello norreno/scandinavo e quello hindù in particolare – ci confermano come la capacità del pensiero arcaico di comprendere e di correlarsi ai fenomeni della natura sia stata in stretta relazione con una modalità cognitiva che vede anima, mente e corpo operare  in perfetta sintonia.

 

 

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