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Grotta di Altamira (Spagna, 18000- 13000 a.C.). Figure antropomorfe ibride ritratte di profilo con le braccia sollevate nella posa dell’adorante.

L’uomo dalle braccia alzate nell’atteggiamento dell’adorante è il tema figurativo più diffuso in ogni parte del mondo e in ogni tempo. I documenti più antichi sono gli antropomorfi ibridi del Paleolitico superiore (16000-14000 a.C.), poi gli adoranti che presiedono il girotondo magico intorno ai due personaggi “incaprettati” della grot­ta Addaura (Palermo, epigravettiano, ca. 9000 a.C.), fino al gesto che il sacerdote ancora oggi compie nel corso della Messa. Adoranti di profilo ricorrono nelle rappresenta­zioni attribuite alle fiorenti culture mesolitiche del Nordafrica, a partire dalla Cultura delle  Teste  Rotonde  (VII°  mill.   a. C.)  e sono presenti ininterrottamente fino all’Islam. (Huard).

Addaura restituzione

Addaura, Monte Pellegrino (Epigravettiano finale, 9000 a.C., da Anati).  Ricostruzione della più antica rappresentazione in cui l’uomo appare come protagonista di una vera e propria “scena rituale”. Alcuni personaggi che indossano maschere a becco di uccello circondano uno spazio centrale in cui sono posti due esseri umani mascherati e dotati di astuccio penico (una sorta di contenitore, in uso  presso molti popoli primitivi,  in cui viene inserito, celandolo così alla vista, il membro virile). I personaggi sono stesi per terra uno sopra l’altro, rivolti verso due direzioni opposte e con la schiena  inarcata da un laccio teso tra il loro collo e le gambe.  Per alcuni studiosi due personaggi centrali sono acrobati che eseguono le loro evoluzioni religiose di fronte ad un pubblico; per altri la scena fa parte di un rituale che prevede il sacrificio di due esseri umani la cui morte giungerà per il soffocamento (incaprettamento).

sefar adoranti

Sefar (deserto del Tassili, Nord Africa, periodo delle Teste Rotonde,  7° millennio a.C., da Demisch). Complessa scena di adorazione compiuta da personaggi femminili che compiono il gesto dell’adorante (a sinistra) in direzione di un grande personaggio maschile (oltre 3 metri di altezza). Secondo Henri Lhote la scena è in relazione ad un culto di fertilità, dato che la figurina femminile  sulla destra sembra prossima al parto. E’ possibile anche che si tratti di una scena di inziazione da porre in relazione con l’antilope, che nel simbolismo delle culture africane è collegata al mondo femminile.

 L’antropomorfo ritratto in varie pose gestuali è presente anche nell’arte plastica, come testimoniano le ceramiche neolitiche di Starcevo, della fase A di Vinca, di Samarra, di Tell Halaf, della cultura danubiana di Koros Kriss ecc. (Antoniewicz). L’ampio raggio di diffusione e l’uniformità stilistica manifestata da questo tema figurativo  è un indizio che rivela i tratti culturali comuni nell’Europa neolitica.  Una delle ipotesi più fondate è quella secondo la quale la figura dell’adorante sia da porsi in relazione con pratiche cultuali connesse ad una concezione cosmologica. Il gesto infatti mostra un non casuale orientamento verso il cielo. Capita spesso che nel repertorio delle incisioni rupestri della Valle Camonica la figura dell’adorante sia in diretta relazione con figure geometriche di certo valore cosmologico. Sulla roccia n. 1 di Foppe di Nadro, per esempio, accanto all’adorante è stato inciso un segno circolare con coppella centrale (fino a ieri interpretato come simbolo solare) che, in base a recenti ricerche condotte dal sottoscritto, è ora possibile interpretare come una rappresentazione schematica del Cosmo inteso come un cerchio costruito sul suo centro.

 

foppe nadro1

Nell’adorante il movimento è assente; non così lo sforzo, la tensione consumata nella più perfetta staticità. Il corpo è avvertito come peso. Dal punto di vista figurativo il gesto dell’adorante esprime una di­sposizione d’animo, una ricerca della sintonia con le direzioni dello spazio. “Assumendo questa posizione – dice Arturo Schwarz – l’individuo si identifica con l’axis mundi, i suoi piedi toccano la terra, le sue braccia sono alzate al cielo, egli si trasforma in un mediatore delle loro contrappo­sizioni. Anche lo sciamano, una volta raggiunta la cima del palo sacrificale alza le braccia e grida:” Ho raggiunto il cielo, sono immortale” (Eliade). Presso quasi tutte le tradizioni arcaiche questa posa gestuale è comunemente inte­sa come la realizzazione del desiderio di immortalità.

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