In “L’outil photographique et l’étude de la danse antique” (https://journals.openedition.org/inha/468, 2013) la ricercatrice francese Audrey Gouy illustra un metodo di indagine, il “Ricostruzionismo”, in base al quale, grazie ad una particolare tecnica fotografica, la crono-fotografia, mettendo nella giusta sequenza le singole posture della danza greca antica, è possibile ricostruire con buona approssimazione l’intera danza. Il termine di paragone utilizzato dal Ricostruzionismo è la danza classica contemporanea e il procedimento cognitivo consiste nel confronto tra posture simili, quella antica e quella contemporanea. Questo metodo mette lo studioso nella condizione di visualizzare le fasi che precedono o seguono l’attimo in cui il gesto del danzatore è fissato nell’immagine. “Le posture rappresentate nell’arte figurativa greca – dice A. Gouy – vengono considerate riproduzioni del reale, e lo strumento fotografico appare quindi come il mezzo sperimentale utilizzato per l’analisi degli antichi movimenti coreografici e la ricostruzione della danza”.

Etienne Jules Marey, salto con la pertica. Il movimento, 1894. Si tratta di uno dei primi esempi di cronofotografia, un procedimento fotografico nel quale è visualizzata una sequenza di 12 fotogrammi, realizzata con uno speciale strumento, il fucile fotografico.
Il primo ad applicare la teoria ricostruzionista alla danza fu lo studioso francese Maurice Emmanuel (La danse grecque antique d’après les monuments figurées, 1896). Il punto di partenza di Emmanuel è l’intuizione che i movimenti coreutici rappresentati nelle antiche opere d’arte siano gli stessi che caratterizzano il balletto classico francese contemporaneo.
Germaine Proudhommeau (La danse grecque antique, 1965) ha continuato il lavoro del maestro entrando nel dettaglio dei gesti e movimenti della danza greca, elaborando un’ampia tipologia totalmente svincolata da ogni riferimento cronologico ed effettuando una comparazione sistematica tra i movimenti figurati antichi ed il lessico del balletto moderno. Nel 1970 T.B.L. Webster fu tra i primi ad esprimere dubbi sul metodo ricostruzionista. Secondo Webster il procedimento elaborato da Emmanuel e affinato dalla Proudhommeau, per quanto attraente, “porta con sé l’ovvio pericolo che i passi moderni appartengano ad una tradizione coreutica completamente differente, fatto che potrebbe condurre a conclusioni ampiamente ingannevoli (The greek chorus, 1970, introduzione, xi).
Nel 1997 il metodo ricostruzionista è stato messo in discussione anche da Frederick G. Naerebout che lo giudica “un resoconto piuttosto confuso di posizioni e gesti dell’antica danza greca” (Attractive Performances. Ancient Greek Dance: Three Preliminary Studies, Amsterdam, 1997, pag. 62).
Negli anni ’90 è stata la volta di Marie-Hélène Delavaud-Roux, autrice di alcuni importanti saggi sulla danza nel mondo antico (tra i tanti: “Les Danses en Grèce antique”, 1998) a prendere le distanze dai suoi predecessori, introducendo un approccio comparatistico che ha aperto la via a nuove interpretazioni dei movimenti e delle funzioni della danza.
Per A. Gouy “l’uso della danza classica contemporanea come punto di riferimento per comprendere le posture della danza greca appare azzardato. Associare e correlare due tipi di danza così distanti temporalmente sembra essere un anacronismo. Una danza appartiene alla cultura che la produce e può essere compresa solo nel suo contesto” (Gouy, 2013).
Nel corso degli ultimi anni anche il sottoscritto si è spesso chiesto come sia possibile ricavare un criterio di comprensione della danza greca rilevando una corrispondenza formale delle immagini antiche con una sequenza fotografica che schematizza i movimenti del balletto moderno. Ho provato ad analizzare la questione alla luce dell’Archeologia del Sapere, il criterio cognitivo a cui si allinea il Blog danzadelleorigini, trovando sintonia con le osservazioni di A. Gouy.
Infatti, in base ai criteri dell’Archeologia del Sapere*, gli aspetti portanti del metodo ricostruzionista lo rendono inadeguato al conseguimento degli obiettivi per cui è stato progettato. In primo luogo l’idea che l’analisi della danza antica possa essere condotta al di fuori di un contesto cronologico è quantomeno poco corretta, perché dovremmo accettare un inspiegabile vuoto cognitivo di circa due millenni tra i periodi storici ed i fenomeni culturali che stiamo mettendo in relazione. In secondo luogo, lo scavo che l’Archeologia del Sapere intende operare, come tutti gli scavi, ha il suo punto di partenza nel piano di campagna, mentre il metodo ricostruzionista tiene conto di una somiglianza tutta sul piano dell’anatomia, di un semplice collegamento di natura estetica che avviene fuori dallo spazio e dal tempo, tra piani stratigrafici distanziati tra loro da altri piani di cui non si tiene conto, senza che possano essere utilizzati criteri culturali di valutazione. Per l’Archeologia del Sapere anche l’adozione di un metodo comparativo ha, almeno per il momento, poche ma chiare regole. Infatti una comprensione è tanto più possibile quanto più il soggetto conoscente e l’oggetto da conoscere fanno parte dello stesso macro-orizzonte. Inoltre, non vedo possibilità di confronto tra l’orante antropomorfo dell’arte rupestre alpina (4° millennio a.C.) e le cosiddette “squatting figures” degli indiani d’America o le “frog figures” delle popolazioni dell’Oceania (Pericot Garcia, Lommel, Galloway, 1967). Una comparazione tra orizzonti così spazio-temporalmente antitetici, è destinata a produrre analisi poco convincenti. Più percorribile sarebbe la via che, partendo dalla gestualità del sacerdote celebrante nelle religioni rivelate (cristianesimo, ebraismo, islam), scendesse ad individuare le analogie riscontrabili nei gesti dell’orante tra l’antichità greco-romana e l’età protostorica.
* Uno scavo di Archeologia del Sapere è un procedimento ermeneutico che parte dall’interno come forma di sapere nella quale il soggetto che conosce e l’oggetto conosciuto vengono, almeno in parte, a coincidere. L’avvicinamento al “testo” che si intende conoscere (un’immagine, uno scritto, una danza, un brano musicale) è possibile perché nell’oggetto studiato è ancora presente un nucleo di conoscenze che sta in condivisione, anche se solo in forma parziale e mediata, con il soggetto che analizza. L’interpretazione è l’atto tramite il quale, mediante il recupero del codice smarrito, viene restituito il significato ad un fatto storico che la nostra memoria culturale non ha ancora rimosso interamente. Una volta individuato l’oggetto della nostra indagine, possiamo seguirne le tracce, procedendo indietro nel tempo, da uno snodo storico all’altro, fino al momento in cui esso viene ricongiunto, i controlli giudicheranno poi se debitamente o meno, alla realtà culturale che l’ha prodotto. Ma l’individuazione del codice interpretativo è possibile solo nel caso in cui una mappa di esso sia ancora disponibile nelle precomprensioni che la nostra tradizione storico-culturale ci ha messo a disposizione.