La gru, il filo di Arianna e la danza

da | Feb 19, 2019 | Senza categoria | 0 commenti

 “ Giunto a Delo di ritorno da Creta … Teseo danzò con i giovani Ateniesi una danza tutt’ora eseguita dagli abitanti del luogo, consistente in movimenti tortuosi ed attorcigliati che rievocano il labirinto. Dicearco afferma che questa danza è chiamata “Gru” (Plutarco, Teseo, 21).

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Registro superiore  della decorazione del cratere attico a figure nere 
(vaso François ca. 570–565 a.C.), Firenze ,Museo Civico Archeologico.

La danza della Gru (Geranos) venne eseguita per la prima volta a Delo dai giovani ateniesi (sette maschi e sette femmine) che Teseo, grazie al filo di Arianna, aveva sottratto al Minotauro e condotto fuori dal Labirinto. Nonostante gli scrittori dell’antichità abbiano descritto la Geranos in termini molto vaghi, gli storici della danza si sono impegnati a fondo nel tentativo di comprenderne lo svolgimento e il significato. Nelle antiche descrizioni della danza ricorrono tre elementi – il filo di Arianna, il labirinto, la gru  –  che, per quanto non sia chiara la reciproca implicazione, di fatto potrebbero essere letti come tre distinte modalità per esprimere il medesimo concetto.

Il filo è lo strumento che Arianna offrì a Teseo per segnare la via verso il centro del labirinto, “il cammino più lungo rinchiuso nello spazio più breve” (Detienne).   Qualche secolo più tardi sarà Virgilio (Eneide, VI) ad accennare al labirinto inciso all’entrata dell’antro della Sibilla Cumana, che è considerato dagli antichi una via di accesso al mondo infero. Per la cultura greco-romana il regno dei morti era infatti un vero e proprio luogo fisico, al quale si poteva accedere attraverso vie impervie e segrete, irraggiungibili dai mortali se non nel dì fatale. Per ogni essere umano il viaggio nell’Aldilà è senza ritorno. Nel mito greco solo a eroi come Odisseo, Orfeo, Teseo, Ercole, Enea, ecc., è concesso il ritorno dall’Inferno. Nella danza di Delo il filo di Arianna è simbolicamente rappresentato dalla linea dei danzatori che percorre nelle due direzioni le curve del labirinto. Quando i danzatori, guidati dal capo coro, si muovono verso il centro, la meta del loro viaggio è l’Aldilà. Quando poi, di certo ad un preciso segnale musicale, il senso di marcia viene invertito, colui che in precedenza chiudeva la fila diventa a sua volta capo coro e si mette a guidare i danzatori verso l’uscita, sulla via del ritorno al mondo dei vivi. Così la coda si trasforma in testa e la fine si identifica con l’inizio.

E la gru che dà il nome alla danza? Quale relazione ha la gru con tutto questo? La questione è stata analizzata dagli studiosi. L. B. Lawler (The Dance in ancient Greece, 1964) ha sostenuto che, per quanto nell’antichità siano state eseguite danze a imitazione animale, “in realtà non esiste alcuna testimonianza letteraria o figurativa di movimenti di danza riferibili in qualche modo alle gru”. R. Graves (La Dea Bianca, 1998) risolve la questione affermando che la Geranos sia l’imitazione di una danza di corteggiamento delle gru. Ma ciò non spiega ancora la connessione tra  il filo,  il labirinto e la danza. A fornire la corretta chiave di lettura è stato Marcel Detienne (La grue et le labyrinthe, 1983) il quale sostiene che la gru, come la cicogna, è da millenni associata alla nascita, ma anche al ritorno alla vita dopo la morte. Nei racconti dei primi zoologi questo trampoliere è una navigatore così ardito che la sua migrazione lo conduce dalle piane della Scizia, una tra le più fredde parti del mondo, fino alle terre calde di Egitto, Libia ed Etiopia. Secondo Aristotele la gru vola da un’estremità del mondo all’altra, collegando i due estremi angoli della terra. Ecco il punto. Se la gru, come altri uccelli acquatici e migratori, percorre ogni anno la via che conduce ai confini del mondo, essa conosce, per averla percorsa, la via verso l’Aldilà. Ciò che nel 1983 Detienne non poteva sapere è che questa ipotesi è confermata dall’ampia documentazione figurativa raccolta negli ultimi decenni, che ha profonde radici nell’immaginario dei popoli indoeuropei ed ha il suo periodo di massimo sviluppo nel corso della prima Età del Ferro (1000-800 a.C.).

ornitomorfo roccia 50

Roccia nr. 50 del Parco Nazionale di Naquane (Capodiponte), VI sec. a.C. Quattro barche “a protome ornitomorfa”, due delle quali ospitano una parola scritta in caratteri nord-etruschi, forse il nome del defunto/a. (da Fossati).

Molti documenti figurativi incisi sulle rocce o rappresentati sulle pareti dei vasi contenenti le ceneri del defunto, hanno come oggetto uccelli acquatici. Sulla roccia nr. 50 del Parco Nazionale di  Naquane (VI sec. a.C., Capodiponte), ad esempio, sono rappresentate le cosiddette “barche a protome ornitomorfa”. Questo nome deriva dalla sagoma ad uccello acquatico attribuita alla parte anteriore e posteriore dello scafo. Sopra il piano della barca è incisa un’iscrizione in caratteri reto-etruschi, che Morandi ha tradotto (anche se per ora il riscontro vale solo per alcuni casi) come un nome di persona (Epigrafia camuna, 1998). Nella religione greco-romana il defunto raggiungeva l’Aldilà per una via d’acqua, cioè attraversando con una barca il fiume sotterraneo (Acheronte, Stige, Cocito, Lete, Flegetonte) che separa il mondo dei vivi dal mondo dei morti. In questo caso la barca viene guidata da un traghettatore (Caronte).  L’antico incisore camuno ha dunque inciso sul supporto sacro l’immagine di una barca, guidata da uccelli acquatici che conoscono la via per l’aldilà, che trasporta il nome (cioè lo spirito, l’anima) del defunto alla sua ultima dimora. Si tratta del massimo augurio di perpetuità che a quei tempi si potesse formulare.

scudo di achille1

Restituzione grafica dello Scudo di Achille così come è descritto da Omero nel libro XVIII dell’Iliade

In “Le isole sonanti” (1989) G. Salvatore fornisce un importante chiarimento  riguardo ad una mal comprensione che in questi ultimi decenni ha confuso le idee riguardo alla danza della gru. La celebre danza di cui Omero parla quando descrive lo scudo di Achille, non è direttamente connessa alla danza che rievoca l’uscita dal labirinto, bensì all’area di danza del Palazzo di Cnosso costruita da Dedalo per Arianna, dove si danzava una coreografia la cui ideazione è attribuibile allo stesso Dedalo” (pag. 7). Quella descritta da Omero sullo scudo di Achille non è dunque la Geranos. L’abbigliamento delle fanciulle e le splendenti armi dei giovani, sono più conformi allo svolgimento di una festa piuttosto che alla rievocazione del salvataggio di un gruppo di prigionieri salvati dal Minotauro. Lo svolgimento stesso della danza non descrive le spire del labirinto, ma si svolge in tre distinti movimenti: prima una danza in tondo, come la ruota ben fatta tra mano prova il vasaio, sedendo, per vedere se corre” ; poi il cerchio si rompe e giovani  e giovinette  corrono in file, gli uni verso gli altri; infine “due acrobati intanto, dando inizio alla festa, roteano in mezzo” (Iliade, libro XVIII).

Nel rituale della Grecia antica la danza della gru assume dunque una precisa identità. La gru conosce la via che conduce nell’Aldilà e, come il filo di Arianna nel labirinto, determina il collegamento tra l’inizio e la fine, tra il visibile e l’invisibile, tra l’umano e il divino. In ogni tempo e in ogni luogo l’uomo è in grado di scoprire nella ritmata misura dei passi la sintesi più perfetta dei valori fondamentali della sua cultura.

 

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