
L’Adorante Autoriflesso corrisponde alla terza posizione del balletto moderno, nella quale le braccia sono arrotondate e sollevate verso l’alto, leggermente più in avanti della linea del corpo.
Analizzando i documenti figurativi ed archeologici dell’Europa preistorica, capita talvolta di imbattersi in immagini che esprimono nuovi aspetti del linguaggio del corpo ma che, anche per le notevoli difficoltà di inquadramento tipologico, sono state a lungo ai margini della ricerca. E’ il caso della scena incisa sulla roccia nr. 2 di Foppe di Nadro (Valcamonica, fine IV-inizio III millennio a.C.), documento pressochè unico nel repertorio camuno che ci fornisce alcuni elementi di giudizio sul gesto dell’adorante: 1- in base alle moderne interpretazioni (sorrette da un ampio accordo intersoggettivo), la coppella incisa all’interno delle cosce dell’antropomorfo indica il suo sesso femminile; 2- la posizione delle braccia ripiegate all’interno differenzia il gesto di questo antropomorfo dal prototipo classico dell’adorante; 3- esiste una chiara relazione di prossimità tra il gesto dell’antropomorfo e la forma reticolare adiacente, a cui Anati (Evoluzione e Stile, 1976) ha attribuito una struttura vagamente antropomorfa.

Roccia nr. 2-D di Foppe di Nadro (Valcamonica, fine IV mill.-inizio III mill a.C.)
Per comprendere il significato di questa immagine dobbiamo in primo luogo riflettere sull’evidente scarto di significato tra il modello dell’adorante tradizionale, con le braccia aperte e rivolte verso l’alto (con alcune varianti), e il nuovo modello, che chiamerò dell’Adorante Autoriflesso, ricavato dalla stessa base posturale ma con la variante delle estremità delle due braccia ripiegate verso l’interno cioè con i palmi delle mani rivolti in basso. Mi preme ricordare che ogni singolo documento figurativo arcaico non è il risultato di un atto creativo individuale, ma la copia fedele di un modello di comportamento, la riproduzione schematica di un sapere archetipico che la comunità riteneva talmente importante da sottrarlo ad ogni tipo di rielaborazione personale. Se consideriamo l’adorante tradizionale come il mediatore cosmico che si occupa della comunicazione verso l’alto, fin dal primo impatto visivo ci rendiamo conto che il gesto dell’Adorante Autoriflesso, ancora oggi presente nella manualistica come una delle cinque posizioni di base del balletto moderno, trasmette un forte senso di chiusura nei confronti dell’alto ed un ripiegamento su se stessi.
L’Adorante Autoriflesso compare in alcuni repertori figurativi nella Preistoria europea e del Nord Africa a partire dal Neolitico, periodo nel quale alcune comunità, dopo un incredibile percorso di innovazione tecnologica e sociale, mostrano di avere acquisito un’elevata competenza artistica, ignota alle età precedenti. In questo periodo, nell’iconografia e nell’arte mobiliare europea, più stabilmente che in passato, compaiono figurine antropomorfe che rappresentano entità divine o forse solo soggetti femminili in atteggiamento rituale di preghiera/supplica. La liturgia non si limita più a connettersi con il mondo superiore o inferiore attraverso le forme tradizionali del rito (la musica, il canto, la preghiera, la danza). La rinnovata tecnica figurativa rielabora e trasforma in immagine l’idea arcaica di “Trascendente”, intendendo con questo termine una realtà che, al di là dei limiti percettivi dell’uomo, è colta in senso olistico, cioè come parte integrante del mondo ed in constante interazione con esso. La struttura reticolare incisa nei pressi dell’antropomorfo femminile di Foppe di Nadro è un esempio di questa nuova sensibilità artistico-religiosa che si esprime con un linguaggio figurativo molto schematico. Dopo aver fatto la sua comparsa nell’area balcanica intorno al VI millennio a.C., questo “stile” si diffonderà per contatto per quasi 2 millenni tra le comunità neolitiche europee, fino alle soglie della prima età dei metalli. Nell’iconografia e nella plastica sacra, l’idea di Trascendente viene incorporata nella forma di idoli nei quali è rappresentato un universo umanizzato, i cui registri cosmici – la dimensione celeste (il cerchio), quella terrestre (il quadrato) e quella infera (a cui non pare corrispondere alcuna geometria) – sono messi in comunicazione tra loro da un asse (axis mundi). Come suggerisce Arturo Schwarz (La dimensione verticale dell’androgino immortale, in: Valcamonica Symposium III, 1979) la tradizionale apertura verso l’alto delle braccia dell’adorante esprime allegoricamente la conciliazione tra il principio maschile (il cielo) e femminile (la terra) e media le loro contraddizioni. Nell’Adorante Autoriflesso, al contrario, il ripiegamento delle braccia verso l’interno è un segno del profondo mutamento ideologico in corso all’interno della liturgia tardo neolitica camuna, a cui seguiranno sostanziali cambiamenti anche nella concezione dello spazio, quale appunto il trasferimento di parte della comunicazione sacrale dalla dimensione verticale a quella frontale. In questa prospettiva il gesto dell’Adorante Autoriflesso è all’inizio di una via appena imboccata e non interamente percorsa, una provvisoria anticipazione di quanto accadrà al sistema liturgico europeo nel non lontano passaggio alla successiva fase megalitica (V-IV millennio a.C.). E’ in questa fase che fa la sua comparsa lo schema gestuale dell’Uomo Universale, rispondente più del precedente al requisito di frontalità richiesto dagli spazi sacri che ospitano i nuovi “idoli”. In tal modo l’oggetto del culto, il Divino, pur conservando nei cieli la sua sede originaria a cui continuerà ad essere rivolto il gesto tradizionale dell’adorante, in base a rigorosissime regole di rappresentazione viene riprodotto come immagine bi/tridimensionale e collocato al centro dello spazio rituale. Oltre che in Valcamonica, l’Adorante Autoriflesso è presente in alcuni documenti dell’Egitto predinastico, in particolare la cultura di Naqada I e II (3800-3200 a.C.), e nella grotta Magura, (cultura calcolitica di Bodrogkeresztur, Bulgaria, III millennio a.C). Dai contesti funerari del sito di Naqada proviene un certo numero di vasi decorati con figurine femminili ritratte sopra il ponte di un’imbarcazione, uno dei mezzi utilizzati dalla religione egizia per far transitare il defunto nel mondo dei morti. Al centro di molte scene è collocata l’adorante femminile con le braccia ripiegate sopra la testa, spesso circondata da una o due figurine maschili di dimensioni più piccole.

A destra:l’Adorante Autoriflesso con le braccia sorrette da due figurine maschili; al centro: portale della Pieve romanica di San Cassiano in Controne (Lucca, XII sec.) Aronne e Cur sorreggono le braccia di Mosè ritratto nella posa dell’adorante, che riceve l’energia dal cielo e la trasmette all’esercito ebraico. A sinistra: decorazione dell’intero vaso con le figurine femminili e la barca funebre (Egitto predinastico, fine IV mill. a.C.).
- Secondo Erich Neumann (La Grande Madre, 1978) alcuni di questi omini hanno la funzione di sorreggere la donna alle ascelle per aumentare l’effetto della postura e prolungarlo. La stessa funzione è descritta in un passo biblico nel quale Aronne e Cur sorreggono le braccia di un Mosè stremato dopo aver a lungo compiuto il gesto dell’adorante per infondere energia all’esercito ebraico nella cruciale battaglia contro gli Amalechiti (Esodo 17, 8-13). La figurina femminile oggetto della rappresentazione non può dunque essere la Grande Madre, come sostenuto dalla Gjmbutas ( Il linguaggio della dea, 1997) ma una iniziata che ripete il gesto compiuto dalla dea per condurre i defunti alla vita eterna e restituire periodicamente la fertilità alla terra. Infatti, solo un essere umano necessita del sostegno di altri uomini, non certo una divinità, che dispone in ogni momento di un’energia illimitata.

Statuetta femminile (Egitto predinastico , fine IV mill. aC., Brooklyn Museum, da Ordynat, 2013) La parte inferiore del corpo è non in termini naturalistici, il viso è un becco di uccello, mentre le braccia sono arcuate sopra la testa della figurina e spinte all’indietro.
L’idea di un culto della Dea Madre diffuso tra il Mediterraneo e il Medio Oriente, è stata generalmente respinta, sia per il motivo sopra esposto, sia perchè le prove archeologiche e antropologiche per dimostrarlo erano scarse e non specifiche, mentre le figure femminili oggetto dell’ipotesi erano troppo distanti nello spazio e nel tempo. Oltre alla posizione delle braccia, la statuetta mostra altri due elementi di particolare interesse: 1- il viso della figurina è interamente occupato dal becco di un volatile; 2- la parte inferiore sia delle figure dipinte sui vasi nagadiani, che delle statuette, non mostra i particolari anatomici della gambe e dei piedi, ma un unico corpo indifferenziato che, partendo dal largo fianco femminile termina con una forma più assottigliata. Questi elementi ci consentono andare più in profondità nell’analisi e di formulare due ulteriori ipotesi: a- sia la figurina dipinta che la statuetta non esprimono una posa di danza, come suggerito da Garfinkel (Dancing at the dawn of agricolture, 2001), poichè nella maggioranza dei casi una danza non può essere eseguita senza l’ausilio degli arti inferiori; b- per quanto la presenza del becco di uccello, che si trova ripetuto in altre forme di arte predinastica, quali palette, pettini, amuleti e selci, faccia pensare ad una sorta di teriomorfismo, la posizione delle braccia non è riconducibile alle ali distese del volo di uccello, ma al senso dell’autoriflessione.

A sinistra: La Signora della Grotta Magura (Età del Bronzo, Bulgaria) nella posizione dell’Adorante Autoriflesso. Al suo fianco è stato dipinto un antropomorfo schematico itifallico, di dimensioni minori, a cui è destinato il gesto. A destra. La figura dell’adorante esercita la funzione di mediatore cosmico tra il cacciatore e la sua preda.
Anche le pitture della Grotta Magura (Età del Bronzo, Bulgaria) realizzate con guano di pipistrello mostrano l’Adorante Autoriflesso con il corpo bitriangolare, in una particolare relazione con un antropomorfo schematico e itifallico, di dimensioni minori, rappresentato come una sorta di totem o un palo piantato nel terreno (Anati: 1971). Le braccia della “danzatrice” ripiegate sopra la testa in un’elegante atteggiamento di preghiera/adorazione, richiamano chiaramente le figurine dell’Egitto predinastico. In questo contesto calcolitico l’uomo, oltre all’identità di cacciatore/agricoltore, possiede anche quella di guerriero e predatore, mentre la donna ha ormai perduto la preminenza delle età precedenti, anche se nell’universo figurativo dipinto sulle pareti della grotta, emerge ancora a pieno titolo la sua funzione di mediatrice tra la realtà umana e quella cosmica. L’esempio più evidente ci è fornito dalle scene di caccia, nelle quali l’Adorante Autoriflesso è rappresentato tra il cacciatore e l’animale, a conferma che la sua mediazione è determinante per il successo della caccia.
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