4. La danza di Shiva

da | Gen 17, 2018 | Senza categoria | 0 commenti

danza di shiva

Shiva nella sua manifestazione come “Nataraja”, il “Signore della Danza”. India Meridionale. Periodo Chola, 888-1267 d.C. (da Clarke, M. e C. Crisp, 1981, The History of Dance, Crown Publications, New York).

Nell’Olimpo delle divinità indù, Shiva rappresenta la forza creativa e distruttiva. Questi aspetti sono messi in risalto nella sua danza grazie alla quale, secondo la narrazione mitologica, il cosmo viene tratto dal caos primigenio e condotto alla creazione. E’ la danza che mette in circolo l’energia creativa. Il dio danza con il piede destro sulla testa del demone, per indicare la sconfitta del male. Delle quattro braccia, che indicano le quattro direzioni dello spazio, due sostengono gli attributi della divinità: il tamburo, che rappresenta il suono ed il ritmo impresso al processo di creazione; la lingua di fiamma che rappresenta la furia distruttiva. Le altre braccia e le mani sono impegnate a comunicare al fedele di non aver paura, perché il dio è sempre presente al suo fianco. Il piede sollevato indica sollievo.
Se Shiva è l’attore e danzatore cosmico, l’intero universo non è altro che immagine dei gesti e delle azioni di Shiva stesso. L’importanza della gestualità, nella preistoria come nel mondo arcaico, è desumibile anche dal ruolo da essa svolto nel processo di formazione delle più antiche forme di scrittura. Secondo il filologo Tciang Tceng Ming molti dei segni utilizzati nelle fasi più arcaiche di sviluppo della scrittura cinese non rappresentano direttamente oggetti naturali, ma sono riproduzioni schematiche dei gesti usati per descrivere quegli oggetti. Lo studio del Cushing sul linguaggio gestuale degli Zuni (Manual Concepts. A Study of the Influence of Hand-Usage on Culture-Growth, 1892) ha mostrato come il modo di formare i pensieri questa comunità (come di molte altre) di nativi americani, fosse condizionato dal loro modo di esprimersi a gesti, esattamente come noi occidentali non siamo in grado di affacciare nella nostra mente un pensiero senza articolare interiormente le parole (Fano, Origini della scrittura e del linguaggio, Einaudi 1973).

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